mercoledì 17 febbraio 2010

Ex Drummer


Belgio 2007, Colore 104 min

Regia: Koen Mortier

Con Dries Van Hegen, Norman Baert

L’affermato scrittore Dries decide di accettare la proposta di tre individui di suonare nella loro band come batterista, sperando di trovare ispirazione per il suo nuovo romanzo.

I suoi compagni della band sono tre perdenti uno peggio dell’altro: c’è Koen, un sociopatico misogino e costantemente arrapato con il vizio di pestare le donne; Jan , un omosessuale afflitto da una paralisi psicosomatica del braccio e succube di una madre possessiva, e Ivan, tossicodipendente sordo con moglie e figlia a carico.

La band, i The Feminsts, dovrà esibirsi solo una volta, suonando Mongoloid dei Devo .

Dries si immerge nel mondo di questi tre casi umani finendo per sconvolgere i fragili equilibri su cui si regge.

Nella mia personale tassonomia cinematografica c’è una ristretta categoria chiamata Incidenti di Percorso. I film che ci finiscono dentro sono accomunati sia da caratteristiche a loro intrinseche sia dalle circostanze in cui sono stati visti. Film visti per caso, a orari improponibili durante notti insonni o pescati dagli scaffali del videonoleggio, roba che altrimenti non mi sarebbe mai passato per la testa di visionare e che, complice anche non sapere cosa mi attendeva , mi hanno colpito duro. Ex Drummer rappresenta bene questa categoria e colpisce maledettamente duro.

Tratto da un romanzo di Herman Brusselmans e opera prima dell’esordiente Koen Mortier, Ex Drummer è difficile ma allo stesso tempo coinvolgente, provocatorio ma non superficiale, imperfetto ma efficace. Un film problematico che mette alla prova lo spettatore sotto molti aspetti. Sicuramente non per tutti i palati. I temi e le situazioni sono forti e spesso scabrosi; davanti agli occhi del protagonista sfila una ricca parata di manifestazioni della bassezza umana,dalla violenza fisica a quella psicologica passando per le più disparate perversioni . Tutto affogato in un clima di generale cinismo e insensibilità di tutte le parti in gioco.

La discesa negli inferi in cui accompagniamo lo scrittore Dries è una delle storie più disturbanti che mi è capitato di vedere negli ultimi anni, e non tanto per la grande quantità di violenza e di eccessi messi in scena (talvolta gratuitamente), ma perché da questa discesa non si può risalire, non c’è speranza .Non c’è alcun riscatto esistenziale per questi perdenti, neppure come spiriti liberi o ribelli decadenti. Neanche per Dries che rimane in qualche modo contaminato dal loro inferno personale. E forse neanche per noi spettatori, che una volta giunti ai titoli di coda ci ritroviamo con una sensazione di desolante vuoto.

Mortier mette in scena tutto ciò con una regia esuberante, ricercata fino al virtuosismo, alternando i registri più disparati, dalla regia semi-documentaristica ai toni onirici,una pluralità di stili che però non sempre si amalgamano a dovere. Decisamente avulse dal tono generale del film sono alcune divagazioni surreali che sembrano finalizzate più ad una ricerca dell’effetto weird a tutti i costi che da reali esigenze narrative (una su tutte la sequenza in “interni femminili”). Lo stesso si può dire di molte scene violente e di sesso, che risultano superflue per la riuscita generale della pellicola. Il lavoro maggiore nel rendere vivido questo malsano mondo lo fa un cast che sembra nato per interpretare la fauna di derelitti che affolla il film, perfetto nei volti, nei corpi e nelle movenze. Memorabile Norman Baert che da corpo ad uno schizzato da manuale, con una recitazione tesissima e sempre sul punto di esplodere nella violenza più insensata raggiungendo il culmine nella sequenza del concerto. Azzeccate anche le location,tanto squallide da riflettere appieno la desolazione interiore dei personaggi.

Un ultimo tocco di classe lo da la colonna sonora, composta interamente di pezzi hardcore e noise, in cui figurano, tra gli altri, i Lightning Bolt che aprono le danze nei titoli di testa.

Ex Drummer è simile alle canzoni punk della sua colonna sonora: rozzo, confusionario, colmo di difetti, a tratti provocatorio fino al ridicolo, a tratti addirittura pretenzioso, ma anche tremendamente efficace, capace di penetrare sotto la pelle anche dello spettatore più navigato. Una bella e disturbante passeggiata negli abissi del nichilismo puro. Senz’altro un film da maneggiare con cura.

Trailer

mercoledì 10 febbraio 2010

District 9

USA/Nuova Zelanda 2009 ,colore , 112 min.
Regia: Neill Blomkamp
Con: Sharlto Copley

Nel 1982 un enorme astronave aliena appare nel cielo di Johannesburg. Al suo interno trasporta centinaia di migliaia di esseri extraterrestri impossibilitati a fare ritorno sul loro pianeta natale. Al pari degli altri profughi e rifugiati, gli alieni, ribattezzati “gamberoni”, vengono sistemati in un grande ghetto denominato Distretto 9.

Gli anni passano, i problemi di convivenza con gli “immigrati” crescono e l’opinione pubblica fa pressioni sul governo affinché trovi loro una nuova sistemazione .Si decide quindi di trasferire le creature in un nuovo campo distante dai centri abitati. L’operazione di sfratto viene affidata ad una compagnia privata, che invia sul posto un plotone di mercenari supervisionati da Wikus Van De Merwe, pupillo del presidente della multinazionale.

Durante lo sgombero Wikus viene accidentalmente contaminato da un liquido alieno che provoca nel suo corpo orrende mutazioni, che sembrano in grado di interfacciarlo con le tecnologie belliche aliene, da sempre precluse agli umani. Questo lo rende una preda appetita dalla multinazionale per cui lavora e per le bande criminali delle baraccopoli. Braccato, decide di cercare aiuto nel Distretto 9…

Decisamente una bella sorpresa questo District 9. Nato dalle ceneri del progetto di una pellicola ispirata alla serie di sparatutto Halo, riprende ed espande tematiche e stile del cortometraggio Alive in Joburg (2005) che aveva portato Neill Blomkamp all’attenzione di Peter Jackson, qui in veste di produttore.

Le premesse della trama possono far tornare alla mente Alien Nation (1988), ma il film di Blomkamp ha sviluppi ben diversi. Innanzitutto salta subito all’occhio la forma della narrazione che alterna sequenze drammatiche “tradizionali” a sezioni documentaristiche con interviste , immagini di repertorio e servizi di TG . Questa soluzione permette al regista di liberarsi dalle costrizioni che una narrazione convenzionale avrebbe imposto e offrire una spaccato ampio e dettagliato del contesto socio-politico in cui la storia si svolge, indagando le reazioni e i mutamenti che l’irruzione dell’elemento extraterrestre ha provocato nel microcosmo degli slums di Johannesburg . Una soluzione che caratterizza buona parte della prima metà del film,quella che sicuramente rimane più impressa. Il mondo del Distretto 9 racchiude bizzarrie che non ti aspetteresti di trovare in un blockbuster: extraterrestri insettoidi ossessionati dal cibo per gatti che per procurarsi la prelibata pietanza vendono armi aliene a gangster nigeriani, e questi ultimi che impiegano gli organi dei gamberoni in deliranti riti magici.

La seconda parte, maggiormente narrativa e improntata all’azione forse risulta meno originale ma non per questo meno godibile, memorabile rimane sicuramente la guerriglia urbana che nel finale infiamma la baraccopoli aliena con tanto di robottone armato di gravity-gun. Purtroppo non sempre Blomkamp riesce a mantenere il ritmo costante soprattutto a causa di una narrazione a tratti troppo ellittica. Un altro aspetto che avrebbe meritato maggior approfondimento è la caratterizzazione dei personaggi umani, tutti piatti e incolori o comunque incasellati in precisi archetipi (il mercenario sadico e militarista, il magnate avido e senza scrupoli ecc… ). Lo stesso non si può dire dei gamberoni ,strani e incomprensibili, sia dal punto di vista biologico che intellettuale , ed è proprio questa distanza dai terrestri a catalizzare la tensione tra le due razze. In scena sono resi discretamente dalla computer-grafica della Weta , anche se l’uso di animatronix non avrebbe guastato.

Nell’ottica di un film di intrattenimento, salvo alcune pecche District 9 funziona alla grande,ma vista la locazione della vicenda ,il Sud Africa, si presta a interessanti parallelismi su cui sarebbe stato meglio soffermarsi in misura maggiore, sicuramente la pellicola ne avrebbe guadagnato.

In chiusura, non posso fare a meno di notare alcune analogie con Avatar di James Cameron. In entrambe le pellicole il protagonista umano passa dalla parte dell’alieno non solo per motivi morali e etici, ma anche a seguito di un mutamento fisiologico. Un altro punto in comune è l’istintiva identificazione degli alieni con quelli che nella nostra società sono comunemente visti come i deboli e gli oppressi: in District 9 ci troviamo di fronte ad una palese metafora dell’immigrazione e dell’ apartheid, mentre nel film di Cameron si possono riconoscere nei Na’Vi tutti i popoli vittima dei colonialismi vecchi e nuovi. Ma se in Avatar gli abitanti di Pandora incarnano li prototipo del “buon selvaggio”, quasi una proiezione di un umanità ancora innocente e incontaminata dal progresso , i gamberoni ispirano se non diffidenza addirittura disgusto a causa dei costumi tanto diversi dai nostri. Un ultima analogia: entrambi i film si concludono con una relativa vittoria dell’alieno sull’umano,sia a livello macroscopico che individuale (le mutazioni permanenti dei protagonisti), una vittoria a cui però non segue alcuna conciliazione tra le due specie. Insomma sono lontani i tempi di E.T. e Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo e sembra di essere più dalle parti di certa fantascienza anni 50. Lascio a chi è più competente di me il compito di decrittare cosa indichi questo mutamento della figura dell'alieno nell’immaginario collettivo. Il pippone mentale è terminato , andate in pace.