giovedì 29 dicembre 2011

Bilancio dell'anno cinematografico 2011


Si avvicina la fine dell’anno e come al solito è tempo di bilanci, nel caso di questo blog bilanci cinematografici. Devo ammettere che il 2011 è stata, almeno per me, un ottima annata per quanto riguarda le visioni, con molte scoperte, nuovi autori che dovrò approfondire. C’è anche un botto di roba da recuperare ( Faust, The Artist ma soprattutto Himizu di Sion Sono, e una montagnadi altra roba). Prendo come punto di riferimento la data di uscita italiana ma tanto per fare numero ci butto dentro anche qualcosa del tardo 2010 che ho recuperato nel corso dell’anno. Evviva l’accuratezza. Ma ora basta con le cazzate:

I Migliori

Drive di Nicolas Winding Refn: Confesso che ero andato in sala un po’ titubante. Di Refn avevo visto solo Valhallha Rising che nonostante alcune cose buone mi aveva lasciato un po’ l’amaro in bocca. Ma tempo di vedere la magnifica scena iniziale e mi ero già innamorato di questo film. Refn ha imparato bene la lezione di maestri come Leone, Peckinpah e Walter Hill e l’ha messa in pratica non prima di avervi aggiunto una forte componente personale. Il risultato è una storia contemporanea ma allo stesso tempo mitica, un film d’azione finalmente davvero intelligente, un gran pezzo di cinema come oggi lo fanno in pochi. Immenso.

La Pelle che Abito di Pedro Almodovar: Una trama del genere te l’aspetteresti da Cronenberg e invece te la trovi portata sullo schermo da Almodovar, in modo egregio. A tratti straniante, a tratti agghiacciante. Non per tutti.

Enter the Void di Gaspar Noè : Un film che nel suo caleidoscopio di immagini può procurare sintomi che vanno dalla cefalea all’epilessia. Però è anche un esperimento interessante e in larga parte riuscito. Noè racconta una storia di solitudine, materialismo e misticismo, disperazione e speranza, il tutto con una regia vertiginosa e colori tanto belli quanto inquietanti. Gli si riesce persino a perdonare qualche lungaggine e alcune cadute di stile.

Tropa de Elite 2 - O Inimigo Agora É Outro di Josè Padilha: Difficile fare meglio del primo, e infatti questo seguito non ne ha l’impatto emotivo devastante, ma Padilha sforna un noir solido e teso, portando i suoi personaggi dai vicoli delle favelas alle non meno pericolose stanze del potere. Averne di pellicole così.

Il Cigno Nero di Darren Aronofsky: Quinto posto con qualche riserva. Devo ancora capire se Aronofsky c’è o ci fa. Ha fatto un filmone come The Wrestler ma anche cosucce come Requiem for a Dream che hanno sia momenti altissimi che momenti imbarazzanti. Il Cigno Nero è un po’ così, ritrae in maniera vivida la discesa nella follia della protagonista ma nel finale si cade talvolta nel pacchiano( la Portman pennuta). Nonostante questo rimane una pellicola angosciante a tratti pure bellissima.

Così e così

The Tree of Life di Terrence Malick: Film ambizioso, come tutti quelli di Malick, regia sontuosa, quasi sperimentale, grande cast. Ci si emoziona, ma non scatta quella scintilla che te lo fa amare.

A Dangerous Method di David Cronenberg : Mi piace molto il nuovo corso iniziato nel cinema di Cronenberg, A History of Violence e La Promessa dell’Assassino sono tra i suoi film migliori. Quindi era lecito aspettarsi qualcosa di più da A Dangerous Method, che accusa troppo il peso della sua origine teatrale. Però è sempre Cronenberg.

Sorprese

Four Lions di Chris Morris: Non è facile fare una commedia demenziale su un tema che, nonostante gli anni, continua ad essere delicato come quello del terrorismo islamica. Invece Four Lions riesce a farlo con un humor a tratti nerissimo e una certa intelligenza.

Super 8 di J.J. Abrams: Qui siamo in piena zona nostalgia, ne consegue che il giudizio che si da su Super 8 sia inevitabilmente falsato dal proprio vissuto. Super 8 può essere uno normale film avventuroso che fa il verso a Spielberg, e forse lo è. Però se hai passato l’adolescenza guardando gli stessi film dei protagonisti, facendo le stesse cazzate, girando lo stesso cortometraggio sugli zombi diventa un normale film avventuroso ma con qualcosa in più.

L’Ultimo Terrestre di Gian Alfonso Pacinotti: Mai seguito molto il Gipi fumettista, nonostante ciò ho trovato L’Ultimo Terrestre imperfetto ma interessante. È un ritratto vivido della provincia toscana contemporanea, cattivo e dolce. È appunto imperfetto, spesso ingenuo ma comunque più interessante e vivo di molto cinema italiano contemporaneo.

Delusioni

Immortals di Tarsem Singh: Che succede se si mette l’estro visivo di Tarsem Singh al servizio di una storia scontata, prevedibile e fiacca? Un film scontato, prevedibile e fiacco con qualche guizzo visivo qua e la. Aggiungeteci un 3D che c’entra come i cavoli a merenda per azzerare anche quel poco di buono che c’era.

Machete di Robert Rodriguez: Questo non dovrebbe stare neppure tra le delusioni perché ho avuto esattamente ciò che mi aspettavo: un B-Movie di lusso che gira intorno a tre o quattro trovate, ai soliti cammei (Ancora Tom Savini? In motocicletta per giunta?) e alle solite citazioni. La formula Grindhouse insomma, che comincia a mostrare il fiato corto. Va bene giusto per impressionare la fidanzata, per tutti gli altri, correte a riguardarvi Riki-Oh: The Story of Ricky.

Scott Pilgrim Vs. The World di Edgar Wright: Vale lo stesso discorso che ho fatto per Super 8 sulla nostalgia. Anche qui ero ben predisposto: stesso humus culturale che il film omaggia (fumetti, videogiochi d’annata e cinema weird), mettici pure che ho apprezzato molto i due film precedenti di Wright. Ne esce fuori però una pellicola che sa di finto e costruito a tavolino, che difetta di quell’intelligenza dei film precedenti di Wright. Personaggi come Shaun, in cui, per quanto fossero tragicomici, riuscivi ad identificarti, vengono sostituiti dalle macchiette che popolano questo film, sbiadite fantasie adolescenziali, cool a tutti i costi. Non aiuta una trama troppo lineare e le poche trovate divertenti si perdono in un mare di mediocrità.

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