martedì 29 dicembre 2009

Control


UK/USA/Giappone/Australia 2007,bianco e nero, 122 min
Regia:Anton Corbijn
Con:Sam Riley, Samantha Morton


Una volta arrivati ai titoli di coda ci si rende conto che è dura dare un giudizio univoco e deciso su Control.Ci sono tante buone ragioni per apprezzare questo film almeno quante ve ne sono per fare il contrario.

Anton Corbijn ha deciso di avventurarsi nell’impervio territorio del biopic musicale, una landa in cui il pericolo di sfornare terribili pellicole agiografiche è sempre in agguato. Ma Corbijn non è l’ultimo dei bischeri, ha alle spalle una brillante carriera come fotografo musicale che affonda le radici nella scena new wave britannica di fine anni 70,e un nutrito curriculum come regista di videoclip. Quindi abbiamo un regista che è stato testimone,ha respirato e vissuto ciò che vuole raccontare (e come se non bastasse ha diretto pure il video di Atmosphere).

Per raccontare la storia dei Joy Division e in particolare la vicenda umana del vocalist Ian Curtis, Corbijn parte dalle memorie della moglie Deborah (il libro Touching from a Distance ) ma attinge al contempo dall’epistolario e dall’opera di Curtis stesso. Dalla cura con cui il regista ricostruisce le vicende principali (pur romanzandole a tratti per snellire l’intreccio) fino ai più minuti particolari traspare l’ammirazione che nutre per il gruppo di Manchester e la comprensione profonda della loro opera. Tante le chicche che costellano il film, dai libri di Ballard nella cameretta del giovane Ian fino alla ricostruzione filologicamente perfetta della performance di Transmission a Granada Tv.Abbiamo di fronte un'opera fatta da un fan per i fan, ma in cui alla cura maniacale fa da contraltare una sobrietà impeccabile nella messa in scena e nel racconto.

Corbijn vuole raccontare l’uomo oltre la leggenda e per questo riduce al minimo sindacabile l’uso drammatico della musica, un elemento che in un film del genere ci si aspetterebbe usato massicciamente.Le canzoni originali si sentono solo in due scene topiche, di grande effetto tra l’altro.Il ritratto di Ian Curtis, che è il vero centro attorno a cui ruota il film, è un ritratto in chiaroscuro, tracciato senza cedere né alla voglia di facili santificazioni né alla tentazione di sbirciare come guardoni negli aspetti torbidi della vita del cantante. Vengono raccontati (un po’ superficialmente) tutti i turbamenti che hanno segnato la sua vita e di conseguenza la sua opera: il senso di essere intrappolato in un matrimonio contratto troppo presto, che tentava di sanare con relazioni extraconiugali,la malattia e il perverso vouyerismo che il pubblico nutriva verso essa,il confine sempre più sfumato tra il Curtis della vita quotidiana e il personaggio che interpretava sul palco.

La sostanza e il modo in cui è trattata trasudano grandi potenzialità,e allora cosa c’è che non va in Control? Andiamo dritti al nocciolo della questione: Control non coinvolge,non emoziona, non si riesce ad empatizzare con le vicende dei personaggi. Mi duole dirlo, si rimane piuttosto indifferenti e a tratti ci si annoia pure. Non si avvertono l’inquietudine e l’angoscia esistenziale che permeano i dischi dei Joy Division e la ragione principale è da imputare ad una regia fin troppo distaccata, troppo presa a costruire immagini belle ed eleganti ma incapace di inserirle in una narrazione che catturi davvero, finendo per vanificare anche la buona prestazione di tutto il cast. L’unico guizzo è la scelta del bianco e nero,scelta che alla fine era abbastanza prevedibile. Queste scelte stilistiche sono da proprie più della regia del videoclip, ambito da cui guarda caso proviene Corbijn, che ci insegna l’esperienza, mal si conciliano con il mezzo cinematografico.

Il giudizio che mi tocca esprimere su questo film è ambivalente,da un lato devo riconoscere al regista una grande abilità tecnica e soprattutto una conoscenza del tema trattato quasi maniacale. Dall’altro devo prendere atto che Control contravviene a quello che il sottoscritto pensa sia il fine principale del cinema e di ogni altra espressione artistica, ovvero emozionare. Un bell’esercizio di stile che purtroppo rimane fine a se stesso.

Un ultima nota prima di chiudere:i brani ricantati NON si possono sentire,le performance canore di Sam Riley fanno sembrare anche la più scalcinata delle cover band di provincia il futuro della musica underground.

2 commenti:

  1. A me è piaciuto anche meno, sebbene come dici in effetti la tecnica c'è. Secondo me alcuni elementi biografici sono stati scarsamente rappresentati e trasposti.

    Trovo migliore (se riesci prova a dargli un'occhiata) sull'argomento 24 hour party people di Winterbottom, ci sono dei joy Division più barricaderi...

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  2. è nella lista dei film da vedere,ma al momento ho troppa roba arretrata.Appena lo vedo ne scrivo un po, magari anche confrontandolo con Control.

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